domenica, 03 novembre 2024


La recente notizia della tragica morte di un giovane, accoltellato a Mestre mentre tentava di sventare una rapina ai danni di una signora, ha profondamente scosso la comunità locale, riportando il tema della sicurezza al centro del dibattito. Per me, questa vicenda assume un significato ancora più personale: è avvenuta nelle strade della città in cui sono cresciuto, le stesse strade che ho percorso decine di volte negli anni ‘90. All’epoca, nonostante la presenza della droga, della criminalità organizzata come la Mala del Brenta e dell’immigrazione dovuta alla guerra nei Balcani, e nonostante l’immigrazione massiccia dall’Albania, la gente si sentiva sicura. Ma perché oggi non è più così?
Mestre è sempre stata una città tollerante e accogliente, influenzata dalla vicinanza con Venezia. Le due realtà erano così intrecciate che spesso venivano chiamate Venezia-Mestre, quasi fossero un’unica entità tra laguna e terraferma. Col passare degli anni, però, qualcosa è cambiato nel tessuto sociale e nella percezione della sicurezza, anche la tolleranza verso l’immigrazione ha preso una piega inimmaginabile fino a qualche decennio fa.
Negli anni ‘90, la sicurezza era garantita da una maggiore presenza delle forze dell’ordine. Io stesso da giovane, ho servito come operatore di polizia attraverso il servizio militare di leva nella Polizia di Stato. Conosco molto bene quella realtà. A pochi chilometri da Mestre c’è il Reparto Mobile di Padova, uno dei più noti e rispettati di quelli che una volta venivano chiamati “celere”. I giovani ausiliari di leva venivano spesso aggregati da quel reparto alla questura per aumentare il numero di volanti sul territorio, permettendo interventi più rapidi nelle situazioni critiche. Le pattuglie erano numerose e in quegli anni erano composte da tre operatori, garantendo una maggiore copertura di sicurezza anche per chi operava.
E questo non era una peculiarità del Veneto: in Italia esistono 15 Reparti Mobili, uno per ogni grande città italiana, e un tempo contavano molto di più dei circa 4500-5000 uomini oggi a disposizione e questo tipo di operatività era garantita in tutto il paese. Oggi, invece, le volanti sono composte da soli due operatori e le pattuglie in strada sono diminuite. I Reparti Mobili non presidiano più le città come un tempo. Le leggi sono sempre complesse e interpretabili, rendendo difficile la loro applicazione efficace e il lavoro di chi opera per i cittadini.
Qualche anno fa si è puntato sulla figura del poliziotto di quartiere, ma spesso si è trattata di una misura per dare una “percezione di sicurezza” piuttosto che di un reale deterrente. Il personale è stato semplicemente spostato da una mansione all’altra, senza comportare, nei fatti, un incremento di operatori. Qualcuno veniva tolto dagli uffici, altri, addirittura, proprio dalle volanti.
La cronaca locale e nazionale riporta un aumento di episodi di violenza e microcriminalità nelle nostre città. Aggressioni, furti e atti vandalici sono diventati eventi comuni sulle pagine dei giornali. Questo incremento ha generato un senso diffuso di insicurezza ed impotenza tra i cittadini, che spesso si sentono abbandonati dalle istituzioni. È evidente che, dal contesto appena descritto, emerge che il problema sicurezza nel Paese non venga preso nella giusta considerazione, non solo a causa della presenza sempre più rilevante di cittadini extracomunitari irregolari ma, soprattutto, per la mancanza di investimenti mirati a garantire un’efficace protezione del territorio.
A livello nazionale, i proclami politici sulla sicurezza sono diventati un tema centrale. Diversi esponenti hanno promesso un aumento delle risorse destinate alle forze dell’ordine, l’inasprimento delle pene per determinati reati e una maggiore attenzione alle problematiche legate all’immigrazione irregolare. Tuttavia, molte di queste promesse restano sulla carta, senza tradursi mai in azioni concrete.
La politica dovrebbe offrire sicurezza reale, non solo l’illusione di essa. Non serve alimentare divisioni o incolpare specifiche comunità. Le città sono meno sicure perché mancano agenti di pubblica sicurezza; le forze dell’ordine sono logorate da servizi continuativi sempre più logoranti e non vengono rimpiazzate adeguatamente, anche perché da molti anni non ci sono più gli ausiliari di leva nella Polizia di Stato, e le risorse economiche vengono destinate altrove.
Il caso di Giacomo Gobbato, il giovane morto a Mestre, ne è un triste esempio. Era attivo in un centro sociale, realtà spesso criminalizzate ingiustamente. Il suo aggressore non era un cittadino africano, ma un moldavo, proveniente da un Paese che aspira a entrare nell’Unione Europea. Questo dimostra che il problema non è legato a una nazionalità o a un’etnia specifica. Giacomo è stato un esempio di coraggio e di senso civico. Avrebbe potuto voltarsi dall’altra parte, ignorando la rapina in corso, invece ha scelto di intervenire. Questo gesto, che gli è costato la vita, mette in luce il valore di chi non resta indifferente di fronte all’ingiustizia.
Non servono demagogia, pregiudizi o frasi fatte dalla politica. È necessario un impegno concreto per garantire la sicurezza nelle nostre città, aumentando la presenza degli operatori sul territorio e facendo rispettare le leggi in modo efficace. È fondamentale che le istituzioni ascoltino le preoccupazioni dei cittadini e agiscano di conseguenza, che i cittadini si sveglino smettendo di puntare il dito, ma pretendendo, piuttosto, da chi hanno eletto di governare con responsabilità. Non si tratta solo di aumentare i controlli o le pattuglie, ma di lavorare sulla prevenzione, sull’integrazione e sul rafforzamento del tessuto comunitario.
La sicurezza è un diritto di tutti e non può essere ridotta a uno strumento di campagna elettorale. È tempo che la politica smetta di fare proclami e inizi a mettere in atto soluzioni concrete. Solo così si onorerà la memoria di tutti coloro che hanno perso la vita a causa della violenza e si proverà a costruire un futuro più sicuro per noi e per i nostri figli.

Grigorij Andreevič Iandolo






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